martedì 25 ottobre 2011

Sul Bisfenolo A

Il bisfenolo A (BPA, C.A.S. nr. 80-05-7) e' una sostanza di base nella produzione di plastiche utilizzate per la conservazione di alimenti, in particolare il policarbonato (sul fondo dei contenitori, e' contrassegnato dal numero 7 all'interno del simbolo con le freccette); e' presente anche in molte paste per otturazioni dentarie e nella carta termica (scontrini, fax).

E' sotto accusa per essere un interferente endocrino.
Dalle banche dati (RTECS, etc.) vediamo che presenta tutta una serie di caratteristiche interessanti:
  • e' bioaccumulabile nei tessuti adiposi (Log Kow = 3,32) e, come tale, trasmissibile al lattante attraverso il latte materno; 
  • e' un notevole genotossico;
  • e' un notevole teratogeno.
Genotossicita': fra i numerosi dati spicca la formazione di micronuclei in linfociti umani a 12,3 mg/L/22h. Cio' significa che siamo di fronte a una sostanza molto aggressiva verso il DNA delle cellule umane esaminate (linfociti), tanto che il sistema immunitario non e' in grado di contrastare la formazione dei micronuclei (indicativi della forza di questo mutageno, unitamente alla bassa concentrazione gia' sufficiente per rilevarne la tossicita').

Teratogenicita': fra i numerosi dati spiccano le anomalie neurologiche in feti di ratto a 20 ug/Kg. Si tratta di una concentrazione attiva particolarmente bassa, ossia e' sufficiente pochissima sostanza per manifestare l'azione tossica; pertanto, se si dovesse verificare che l'essere umano e' in questo caso, come in numerosi casi, affine al ratto per risposta all'azione tossica, il dato sarebbe particolarmente preoccupante.

Per quanto riguarda l'interferenza con il sistema endocrino, troviamo dati sui ratti con concentrazioni molto preoccupanti (100 ug/Kg subcutaneo in topo; 5,9 mg/Kg subcutaneo in ratto; etc.).

L'Istituto Superiore di Sanita' ha pubblicato un approfondimento (di cui si puo' scaricare anche il corrispondente documento pdf) a cura di Alberto Mantovani e Francesca Baldi - Reparto di Tossicologia Alimentare e Veterinaria - ISS, con alcune spiegazioni e indicazioni utili sui modi per diminuire l'esposizione a questa sostanza tossica. Per comodita' le riportiamo qui sotto:
  • Non usare contenitori alimentari in policarbonato nel microonde. Il policarbonato è forte e durevole, ma con l’usura causata dal tempo e dalle temperature elevate potrebbe rilasciare BPA.
  • Ridurre l'uso di cibi in scatola, in particolare per i cibi caldi o liquidi. Optare, invece, per vetro, porcellana o contenitori di acciaio inox senza rivestimenti interni in plastica.
  • Se si vive in un paese extra-UE, scegliere biberon privi di BPA.
  • Quando si usa una bottiglia di acqua in plastica, non ri-utilizzare più volte.
  • Adottare una accurata igiene orale in modo da ridurre la necessità di cure dentali.
  • Indossare i guanti se si maneggiano molti scontrini in carta termica.

venerdì 7 ottobre 2011

Sostanze chimiche comuni nell'ambito domestico e il rischio di allergie nei bambini di eta' prescolare.

Presentiamo il riassunto dell'articolo Common Household Chemicals and the Allergy Risks in Pre-School Age Children pubblicato il 18 ottobre 2010 sulla rivista ad accesso gratuito PLoS ONE dagli autori Hyunok Choi1, Norbert Schmidbauer2, Jan Sundell3, Mikael Hasselgren4, John Spengler1, Carl-Gustaf Bornehag5,6*
1 Department of Environmental Health, Harvard School of Public Health, Boston, Massachusetts, United States of America, 2 Norwegian Institute for Air Research, Kjeller, Norway, 3 Department of Building Science, School of Architecture, Tsinghua University, Beijing, China, 4 Primary Care Research Unit, County Council of Varmland, Karlstad, Sweden, 5 Public Health Sciences, Karlstad University, Karlstad, Sweden, 6 SP Technical Research Institute of Sweden, Boras, Sweden, *E-mail: carl-gustaf.bornehag@kau.se

Contesto: il rischio, dato dall'esposizione a composti organici volatili (VOCs) dentro le mura di casa, di alimentare malattie allergiche inalatorie nei bambini rimane sconosciuto.

Obiettivo: Abbiamo esaminato la concentrazione residenziale di VOCs, emessi da materiali da costruzione, pitture, mobili e altri oggetti il cui uso dipende dallo stile di vita, e i rischi di malattie allergiche multiple, cosi' come la sensibilizzazione IgE in bambini svedesi in eta' prescolare.

Metodi: in uno studio case-control [strutturato per identificare i fattori che possono contribuire a una malattia, N.d.T.] su 198 bambini con asma e allergia e 202 controlli sani, sono stati raccolti campioni d'aria nella camera da letto di ogni bambino. I campioni d'aria sono stati analizzati per il contenuto di otto classi di VOCs.

Risultati: Un'unita' di concentrazione pari al range 3,43 - 15,65 mg/m3 di VOCs della classe "propilen-glicole + glicol eteri" (PEGs) nell'aria della stanza da letto e' stata associata a una probabilita' 1,5 maggiore di essere un caso clinico [v.d. dopo], 1,5 maggiore di sviluppare asma, 2.8 maggiore di sviluppare riniti e 1,6 maggiore di sviluppare eczema. Si e' tenuto conto del genere maschile/femminile, del fumo passivo, delle allergie in entrambi i genitori, della pulizia a umido con agenti chimici, del periodo di costruzione dell'abitazione, della presenza di limonene, allergeni canini e felini, butil benzil ftalato (BBzP) e di(2-etilesil)ftalato (DEHP). Quando l'analisi era limitata ai casi clinici, la stessa unita' di concentrazione e' stata associata a una probabilita' 1,8 volte maggiore di sensibilizzazione IgE, comparata ai casi non sensibilizzati IgE.
Per le altre classi di VOCs non sono state riscontrate simili associazioni.

Conclusioni: proponiamo la nuova ipotesi che i PEGs entro le mura di casa esacerbino e/o inducano i sintomi di allergia multipla, l'asma, le riniti e l'eczema, cosi' come rispettivamente la sensibilizzazione IgE.

giovedì 22 settembre 2011

Elenco dei 26 allergeni riconosciuti dalla Dir 2003/15/CE

Pubblichiamo, come promemoria, l'elenco degli allergeni riconosciuti dalla Direttiva 2003/15/CE, recepita in Italia dal Decreto legislativo n. 193 del 3 febbraio 2005 in vigore dall’11 marzo 2005:

  • Amylcinnamal (n. CAS 122-40-7)
  • Alcole benzilico (n. CAS 100-51-6) 
  • Alcole cinnamilico (n. CAS 104-54-1) 
  • Citrale (n. CAS 5392-40-5)  
  • Eugenolo (n. CAS 97-53-0)
  • Idrossicitronellale (n. CAS 107-75-5)
  • Isoeugenolo (n. CAS 97-54-1)
  • Alcole beta-pentilcinnamilico (n. CAS 101-85-9)
  • Salicilato di benzile (n. CAS 118-58-1)
  • Cinnamaldeide (n. CAS 104-55-2)
  • Cumarina (n. CAS 91-64-5)
  • Geraniolo (n. CAS 106-24-1)
  • 4-(4-idrossi-4-metilpen-til)cicloes-3-encarbaldeide (n. CAS 31906-04-4)
  • Alcole anisilico (n. CAS 105-13-5)
  • Cinnamato di benzile (n. CAS 103-41-3)
  • Farnesolo (n. CAS 4602-84-0)
  • 2-(4-terz-butilbenzil)-propionaldeide (n. CAS 80-54-6, Liliale)
  • Linalolo (n. CAS 78-70-6)
  • Benzoato di benzile (n. CAS 120-51-4)
  • Citronellolo (n. CAS 106-22-9)
  • Alfa-esilcinnamaldeide (n. CAS 101-86-0)
  • D'limonene (n. CAS 5989-27-5)
  • Ott-2-inoato di metile (n. CAS 111-12-6)
  • 3-metil-4-(2,6,6-trimetil-2-cicloesen-1-il)-3-buten-2-one (n. CAS 127-51-5)
  • Estratto di evernia prunastri ed evernia furfuracea (n. CAS 90028-68-5)
  • Evernia furfuracea, estratto (n. CAS 90028-67-4)


La presenza di ognuna di queste sostanze dev'essere indicata nella lista degli ingredienti riportati nell'etichetta di cosmetici e detersivi, se la loro concentrazione supera singolarmente i seguenti valori:
— 0,001 % nei prodotti che non vengono risciacquati,
— 0,01 % nei prodotti destinati ad essere risciacquati.

All'epoca del recepimento di questa normativa, i mass-media ne diffusero ampiamente la notizia, destando grande attenzione nei consumatori; bastarono pero' pochi giorni di silenzio perche' tutto finisse nel dimenticatoio.
Attualmente molte fra le ditte produttrici, che hanno l'obbligo di legge di riportare gli allergeni in etichetta dei loro prodotti, sfruttano questo oblìo a fini commerciali: e' infatti sufficiente scrivere che la tale sostanza e' "da agricoltura biologica" per nobilitarla agli occhi del compratore, il quale non ricorda che e' un allergene e quindi rappresenta non un pregio, bensi' un difetto dell'articolo che sta acquistando...

venerdì 9 settembre 2011

Sindrome feto-alcolica: 7 neonati italiani su 100 sono a rischio

Dal sito dell'Istituto Superiore di Sanita', pubblicazione del 9 settembre 2011 a cura della dr.ssa Mirella Taranto (Ufficio Stampa dell'ISS):

"In Italia su 100 neonati 7 hanno subito esposizione alcolica nel grembo materno. Si tratta dei primi dati italiani rilevati dal uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità e diffusi oggi nell’ambito di una conferenza stampa in occasione della prima Giornata internazionale della consapevolezza sulla sindrome feto-alcolica. Lo studio multicentrico di prossima pubblicazione è stato condotto attraverso un biomarcatore, l’etilglucuronide, in grado di rilevare l’esposizione all’alcol nel meconio, le prime feci dei neonati. Il gruppo di studio, capeggiato dalla dottoressa Pichini ha messo in luce che c’è un consumo di alcol in gravidanza sottostimato o non riconosciuto da parte delle donne che partoriscono: l’analisi sul meconio di 607 neonati, infatti, ha rivelato un’esposizione media del 7.6% di neonati, con una distribuzione nelle diverse città campione dello studio molto diversificata: da uno 0% nella neonatologia di Verona ad un 29% nella neonatologia dell’Umberto I di Roma.

"Noi non sappiamo quale sia la quantità di alcol che si possa assumere in gravidanza senza rischi e perciò indagini come questa sono estremamente importanti nel campo della prevenzione e della tutela della salute neonatale - afferma il Presidente dell’Istituto Superiore di Sanità Enrico Garaci - perché permettono di far luce su un fenomeno sommerso come quello delle patologie pediatriche sviluppate in relazione all’assunzione di bevande alcoliche durante la gravidanza. In Europa infatti - dice il Presidente Garaci - si hanno pochissimi dati sui disordini feto-alcolici, questo nostro studio è fra i primi e ha coinvolto anche la Spagna. A Barcellona i dati hanno rivelato addirittura il 45% di esposizione neonatale. L’obiettivo di questa giornata è soprattutto l’informazione, alle donne prima di tutto sia quelle in gravidanza che quelle che decidono di avere un figlio che la quantità di alcol in questo periodo deve essere pari a zero".

Per aiutare i medici, neonatologi e pediatri a diagnosticare la sindrome è stata pubblicata dall’Osservatorio Fumo, Alcol e Droga dell’ISS la "Guida alla diagnosi dello spettro dei disordini feto alcolici". Una guida schematica che aiuta a diagnosticare la sindrome feto-alcolica (FAS) e lo spettro dei disordini feto alcolici (FASD), due patologie di difficile diagnosi.La Guida sarà distribuita a più di tremila medici italiani.
Una diagnosi precoce, inoltre, può essere molto utile per individuare possibili rischi e agire tempestivamente. "I neonati devono avere un follow-up specifico - spiega Simona Pichini - perché ancora non si sa che percentuale di loro svilupperà una sindrome feto alcolica e quanti di loro svilupperanno uno spettro di disordini feto alcolici. Si tratta principalmente di problemi neurologici, neuromorfologici, problemi di sviluppo cerebrale, disabilità serie. La sindrome di iperattività e deficit di attenzione, per esempio, è uno dei disordini che potrebbe manifestarsi nell’ambito di un’esposizione del feto all’alcol".

mercoledì 18 maggio 2011

Polietilene degradabile: fantasia o realta'

I film di polietilene, lasciati nell'ambiente, rimangono inalterati per tempi molto lunghi, con effetti negativi sull'ambiente. Ultimamente e' stato presentato il "polietilene degradabile" come un'alternativa ecologica a quello non degradabile, ma non sembra essere una soluzione. Nell'articolo si approfondisce la degradabilita' di polietilene contenente pro-ossidanti, specificamente l'effetto che questi polimeri potrebbero avere sull'ambiente nel lungo periodo. Nell'esposizione a calore, luce e ossigeno, questi polimeri si disintegrano in piccoli frammenti, riducendo o aumentando la presenza visiva. Tali frammenti possono rimanere nell'ambiente per periodi molto lunghi.
Si evidenziano anche importanti questioni - quali i tempi per la completa degradazione, il destino dei residui dei polimeri, il possibile accumulo di tossine - che andrebbero chiarite prima di accettare questi polimeri come una vera alternativa agli equivalenti non degradabili.
Dalla letteratura esistente si evince che il polietilene biodegradabile non e' ancora stato realizzato.

Di questo parla un articolo pubblicato sulla rivista scientifica Environmental Science & Technology, dal titolo: "Degradable Polyethylene: Fantasy or Reality" dei segg. autori:
Prasun K. Roy†, Minna Hakkarainen‡, Indra K. Varma§, and Ann-Christine Albertsson (hone: (0046) 87908274; fax: (0046) 8100775; e-mail: aila@kth.se)‡
[† Centre for Fire, Explosive and Environment Safety, DRDO, Timarpur, Delhi 110054, India; § Centre for Polymer Science and Engineering, Indian Institute of Technology, Delhi, Delhi 110016, India; ‡ Department of Polymer Technology, The Royal Institute of Technology, S-10044 Stockholm, Sweden]


Environ. Sci. Technol., 2011, 45 (10), pp 4217–4227
DOI: 10.1021/es104042f - Publication Date (Web): April 15, 2011
Copyright © 2011 American Chemical Society

lunedì 28 febbraio 2011

"Nucleare": i necessari distinguo da fare.

Riportiamo il parere di un ingegnere nucleare sull'attuale gestione delle risorse
energetiche mondiali:

"Nucleare": i necessari distinguo da fare.

"Dati i notevoli passi effettuati soprattutto ultimamente nelle energie alternative, e nonostante l'opposizione e gli intralci da parte di petrolieri e nuclearisti, nulla fa dubitare dell'opportunita' di investire massicciamente nella ricerca in tal settore.

Gia' attualmente, una superficie di pannelli solari moderni grande come la Svizzera darebbe abbastanza energia ad uso civile all'Europa, quindi distribuendo tal superficie su tutto il sud Europa (per l'insolazione) non avremmo ne' un impatto ambientale importante, ne' grandi problemi di collocazione e/o distribuzione della corrente.

Sommiamo questo all'eolico del nord, alle biomasse delle vaste distese europee, alla possibilita' di eliminare l'inquinamento diffuso (soprattutto nelle città) concentrandolo in punti più controllabili (con tecnologie moderne, ben diverse da quelle anche solo di 20 anni fa)...

Anche le automobili stanno evolvendo, e saremmo ad un punto ben piu' avanzato se non ci fossero i ben noti interessi petroldollaro-connessi (pensiamo all'evoluzione tecnologica dei materiali, del trattamento degli scarichi, dell'ergonomia, che richiedono gia' le moderne vetture ma ancor di piu' prototipi a celle di combustibile, ad idrogeno e quant'altro)...

Togliamo questo carico all'utilizzo delle risorse tradizionali, ci ritroveremmo ben piu' disponibilita' da utilizzare nell'industria. Inoltre, le tecnologie moderne ci permettono di trovare giacimenti di petrolio e carbone più profondi e ricchi, che vengono "bruciati" in maniera assai piu' controllata e meno inquinante di prima.

In realta', la tecnologia nucleare di cui si parla si basa ancora sull'uranio che e' davvero una risorsa limitata e concentrata nelle mani di pochi, mentre le stime piu' recenti danno il petrolio e carbone non proprio in via di esaurimento... Il sole (quindi anche il vento) terminera' fra qualche miliardo di anni!

La Francia generalmente si muove prima delle altre nazioni occidentali, che sia gestita da governi di destra o di sinistra. Attualmente ha un piano imponente di piantagioni solari nel deserto del Sahara, che comporterebbe lo scambio energetico tra Europa e Nord Africa implicando piu' stretti legami a cavallo del Mediterraneo. Se il nucleare fosse la panacea universale sulla quale insiste il nostro attuale governo (ma anche una parte delle opposizioni), avrebbe senso tale gigantesco impegno per un Paese che conosce ed utilizza nucleare in misura cosi' importante gia' da tempo?

La verita' e' che il nucleare serve su due fronti: il militare e la ricerca scientifica. Quest'ultimo aspetto, se correttamente valorizzato, darebbe opportunita' di sviluppo anche economico di portata planetaria.

Per correttezza, vanno ricordati alcuni aspetti che gli organi di stampa difficilmente mettono in rilievo in maniera oggettiva ed obiettiva:
  1. la sicurezza delle centrali e' statisticamente molto maggiore rispetto a quella delle automobili; tuttavia le centrali stesse sono gestite da poche persone, i cui singoli errori di gestione o di valutazione possono avere ripercussioni catastrofiche (si veda l'incidente di Chernobyl);
  2. le scorie residue pericolose sono in quantita' molto inferiore a quanto si
    crede; tuttavia la loro gestione sarebbe in mano per tempi lunghissimi a
    poche persone, soggette a errori dalle conseguenze gravissime o, peggio,
    alla possibilita' di utilizzi per attentati da parte di terroristi e/o
    dittatori vari.
Quando poi si rischia di cominciare un'avventura nel nucleare partendo gia' con impianti concettualmente obsoleti, come sta per fare l'Italia, gli aspetti negativi aumentano... e quelli positivi, come la possibilita' di un discutibile e fantomatico risparmio in bolletta, se ne vanno del tutto."

Augusto Zane, laureato ingegnere nucleare al Politecnico di Milano

lunedì 7 febbraio 2011

Gli omega-3 di origine marina riducono il rischio di tumore al seno

Presentiamo la traduzione divulgativa del riassunto (abstract) del seg. articolo pubblicato sul Journal of Nutrition dell'American Society for Nutrition: Titolo originale: "Marine Fatty Acid Intake Is Associated with Breast Cancer Prognosis" dei segg. autori:
Ruth E. Patterson3 (e-mail: repatterson@ucsd.edu), Shirley W. Flatt3, Vicky A. Newman3, Loki Natarajan3, Cheryl L. Rock3, Cynthia A. Thomson4, Bette J. Caan5, Barbara A. Parker3, and John P. Pierce3. [3: Moores UCSD Cancer Center, University of California, San Diego, La Jolla, CA 92093; 4: Arizona Cancer Center, University of Arizona, Tucson, AZ 85724; 5: Division of Research, Kaiser Permanente Northern California, Oakland, CA 94612].

"L'assunzione di acidi grassi di origine marina e' associata alla prognosi del cancro al seno.
EPA (acido eicosapentaenoico) e DHA (acido docosaesaenoico), che sono acidi grassi polinsaturi omega-3 (PUFA n-3) a catena lunga contenuti soprattutto nei pesci, inibiscono la proliferazione di cellule di cancro al seno coltivate in vitro e riducono l'inizio e la progressione di tumori alla mammella in animali da laboratorio.
Il nostro scopo in quest'analisi era capire se l'assunzione di EPA e DHA poteva essere associata alla prognosi (ossia se influiva sull'andamento della malattia) in un gruppo di donne in cui fosse stato diagnosticato e trattato il cancro al seno in fase precoce. La sorveglianza e' durata mediamente 7,3 anni. L'assunzione tramite dieta e' stata seguita e stimata con modelli matematici, al fine di valutare l'associazione di apporti dietetici ripetuti di EPA e DHA da cibo e da integratori con la sopravvivenza.
Le donne con assunzioni piu' elevate di EPA e DHA  da cibo hanno avuto una riduzione pari a circa il 25% del rischio di recidive, con un decremento dose-dipendente del rischio di mortalita' complessiva.
La ricerca indica che gli acidi grassi da cibo di origine marina sono associati a un ridotto rischio di formazione di cancro al seno e di mortalita' complessiva."